ZIP
Viveva in un campo, vicino alla mia casa di Montuolo, con
tutta la sua famiglia, un topolino di nome Zip. Zep era
invece il nome della sua sposa, e tre erano i figli, che
gli davano però un gran daffare, sempre pronti com'erano
a scappare di casa, e poi a lamentarsi perché avevano
fame.
Zip, perciò, passava le sue giornate in una continua
ansia per i figli e spesso si lamentava con la moglie che
non ce la faceva più ad andare avanti così.
Quanto erano lontani i tempi in cui, loro due soli, fidanzati,
se ne andavano in giro per i campi e si godevano le bellezze
del creato!
Un loro amico gli confidò un giorno che forse c'era
il modo di cambiare vita e di stare meglio.
"Qua vicino c'è una soffitta sicura molto spaziosa,
ben riparata e riscaldata."
E gli indicò la casa che era proprio a due passi
da lì.
Non doveva nemmeno attraversare la strada, ma solo qualche
campo e qualche fossa non troppo grande, se avesse desiderato
trasferirvisi.
"E tu cosa ne pensi, Zep?" domandò Zip
alla moglie.
Zep era affezionata alla sua casa nel campo. Le dispiaceva
un po' quell'idea di lasciarla.
Da quando s'erano stabiliti lì, aveva fatto di tutto
per dotarla di ogni comodità. Oggi poteva ben dire
che non vi mancasse nulla.
Anche le amiche lo riconoscevano, complimentandosi con lei
allorché venivano a trovarla.
Ora avrebbe dovuto invece ricominciare tutto da capo.
"Zip, Zip, quante me ne combini!" esclamò
un po' risentita.
Ma Zip era intenzionato a dare una svolta alla sua vita.
"Ci saranno meno pericoli per i nostri figli."
Quello infatti era il suo cruccio maggiore.
Anche l'amico gli dette una mano per convincere Zep, ed
infine la moglie cedette.
Nei giorni seguenti cominciarono i preparativi per il trasloco.
Zep voleva portarsi via tutto, naturalmente. Ma Zip, al
contrario, non voleva portare via niente.
"Cominceremo da capo. Casa nuova, vita nuova"
diceva contento alla moglie.
Si accordarono per una via di mezzo, e Zep ebbe il consenso
di portare con sé alcuni oggettini della sua camera
da letto ai quali era affezionata. Ed anche alcuni utensili
di cucina, indispensabili per accontentare il marito, quando
brontolava che era stufo di mangiare tutti i giorni la stessa
minestra.
Qualcosa trasferirono di giorno e qualcosa di più
ingombrante di notte.
Infine venne il giorno che poterono partire e abbandonare
la vecchia casa.
Zep non riusciva a varcare la soglia. Più volte si
girò a contemplare le sue stanzucce nelle quali era
vissuta così felice.
Com'era dura la vita, se si doveva fare tanta violenza ai
propri sentimenti!
Zip invece non ci pensava nemmeno, ed anzi fu preso da un
entusiasmo insolito, esuberante.
"Facciamo presto! Facciamo presto!" non si stancava
di ripetere.
Anche i tre figli erano entusiasti del trasloco. Avrebbero
scoperto cose nuove! Eppoi, forse i genitori li avrebbero
finalmente lasciati un po' in pace. Che noia sentirseli
sempre attorno a brontolare, a raccomandare, a sgridare.
Quell'amico ne aveva parlato tanto bene, di quella casa,
che certamente la loro vita sarebbe diventata un sogno.
Così, giunta la sera sull'imbrunire, quando non era
più tanto giorno ma nemmeno era principiata la notte,
nell'ora cioè in cui meno insidiosi si fanno i pericoli,
Zip, chiamata vicino a sé Zep, dette l'ordine di
partire.
Si pose in testa al gruppo e in fila indiana si misero in
movimento.
Zip guardava da una parte che non ci fossero pericoli, Zep
dall'altra, e ogni tanto squittivano verso i figli, che
volevano allontanarsi per i loro giochi.
L'erba era bagnata per la pioggia recente. Ne era caduta
in gran quantità. Zip pensava tutto contento che
forse era l'ultima volta che doveva temerla.
Traversarono a nuoto una prima fossa che s'era empita d'acqua.
Poi un'altra che si trovava proprio in prossimità
della nuova casa.
Giunsero infine al cancelletto che dava sull'orto.
Entrarono in giardino e dettero un'occhiata in giro.
Ma l'amico li aveva più volte rassicurati che in
quella casa non c'erano pericoli di sorta, e né cani
e né soprattutto gatti. Sarebbe stata proprio una
pacchia.
Era ben tenuto il giardino. Aveva alberi grandi.
Zip guardò con un certo trionfo la sua Zep.
"Qui staremo bene, vedrai. Saremo dei veri signori."
Zep non rispose; annuirono invece i tre topini.
"Presto, babbo, andiamo" lo incitavano.
Entrarono dalla porta del garage, che aveva fessure più
larghe.
Per primo entrò come al solito Zip, poi i tre figli,
e per ultima Zep.
L'amico gli aveva descritto molto bene il modo di arrivare
alla soffitta e quindi non fu difficile orientarsi.
Poi Zip aveva una particolare attitudine per questo genere
di cose.
Zitti zitti, di nuovo in fila indiana, attraversarono le
stanze del pianoterra, trovarono la scalinata del primo
piano, la salirono. Passarono infine sotto la porta della
soffitta.
Solo in quel momento Zip autorizzò il gruppo a fermarsi
per una sosta.
"Eccola la nostra soffitta. Ancora quella scala e saremo
arrivati."
"È bello qui!" esclamarono i topini.
"Certo che è bello" ribadì Zip,
che sentiva dentro di sé, al contrario di Zep, la
gioia del cambiamento.
Presero fiato e quindi di nuovo salirono la scalinata, questa
volta in ordine sparso, giacché Zip aveva assicurato
che d'ora in poi non ci sarebbero stati più pericoli
per nessuno.
"Da questo momento siamo noi i padroni della soffitta."
E poi, rivolgendosi ai figli, aveva aggiunto:
"Su su andate, correte, qui potete fare tutto quello
che vi piacerà."
Figuratevi i figli che non si erano mai sentiti dire in
tutta la loro vita parole simili!
Si guardarono sorridenti, felici, e subito si misero a salire
quegli scalini: squittivano e saltavano.
Quando furono arrivati in cima e videro le enormi stanze
che da quel momento avrebbero costituito il loro reame,
tornarono di corsa alle scale e tutti e tre gridarono ai
due genitori, sorpresi in un tenero abbraccio:
"Mamma, babbo, correte a vedere la soffitta. È
enorme!"
Salirono i genitori, questa volta trepidanti, emozionati.
"Davvero è bello qui" riuscì appena
a dire Zip.
Zep si preoccupò subito di fare un po' di pulizia.
Lì proprio non aveva abitato più nessuno da
anni, lo si vedeva bene, e la polvere ricopriva ogni cosa!
Zip lasciò fare a lei, che scelse l'angolo dove sistemare
la loro camera, e poi quella dei figli, e infine la cucina.
Nei giorni seguenti continuarono a pulire, riordinare, arredare.
Anche i figli aiutavano. Ogni tanto però sparivano
e Zip doveva squittire molto forte per richiamarli al dovere.
Alla fine la nuova casa fu pronta.
Davvero bella e confortevole a paragone della vecchia!
Zep ora ne era contenta. Se la mirava e rimirava per dritto
e per rovescio e cominciava a provare un certo sentimento
di gratitudine per il suo Zip, che aveva avuto il coraggio
di quell'avventura.
Era proprio un tesoro Zip, che sempre cercava nella sua
vita di migliorare la propria condizione, e non si fermava
di fronte a niente pur di raggiungere lo scopo. Era contenta
di averlo sposato.
I figli non si vedevano quasi mai, sempre in giro per quelle
stanze ad inventare giochi.
Si presentavano solo all'ora di pranzo! E com'erano affamati!
Ma si vedeva bene che erano felici.
In quella soffitta c'era ogni ben di Dio adatto ai loro
divertimenti: un vecchio armadio, una culla, una panciuta
damigiana, due biciclette arrugginite, una carrozzina, ma
soprattutto c'era una piccola sedia a dondolo sulla quale
i tre topini impazzivano di gioia. Salivano infatti tutti
insieme sulla punta del piede a dondolo e si facevano cullare
per delle ore. Qualcuno ne approfittava anche per farci
un pisolino!
La mamma aveva però scoperto che era quello il loro
nascondiglio preferito, e quando proprio aveva bisogno del
loro aiuto, andava a scovarli là.
I tre diavoletti facevano di tutto per non lasciarsi sorprendere.
Appena la sentivano arrivare, subito cercavano di svignarsela.
Spesso si precipitavano di gran carriera dietro la vecchia
damigiana e lì se ne restavano zitti zitti, attenti
a non far rumore. Era furbissima infatti la mamma, e sarebbe
bastato un nonnulla per smascherarli.
Zip in quei primi mesi era anche ingrassato.
S'era fatto più tranquillo, meno spesso si arrabbiava,
e diciamo pure che per la prima volta nella sua vita riusciva
a dominare i propri nervi.
Aveva più frequenti momenti di tenerezza con la sua
Zep.
Anche coi figli era diventato più affettuoso, più
comprensivo. E quando la sera si ritrovavano a tavola, si
sentiva più disposto di una volta ad insegnare loro
qualcosa.
Del cibo ne trovavano direttamente anche in soffitta, ma
Zip certe volte scendeva al primo piano coi figli e mostrava
loro come si doveva fare per accaparrarselo, senza farsi
sentire o vedere dal padrone.
I tre topini lo seguivano in silenzio. Si accovacciavano
sul pavimento anche loro, allorché glielo vedevano
fare, e lui con la testa indicava che dovevano muoversi
così e così.
Sotto la soffitta era collocata la cameretta del figlio
minore del padrone, che aveva l'abitudine di consumare una
merenda mentre guardava la tv: biscotti, del pane col burro
e marmellata, qualche volta del formaggio, della frutta.
Sempre ne avanzava nel piatto, che il ragazzo allontanava
da sé e posava sulla tavola poco distante.
Che manna, che occasioni d'oro per quella famiglia di topi!
Zip lasciava sempre le parti migliori ai figli e ne portava
anche a Zep.
"Vedi come si sta bene qui? Si mangia stupendamente
e senza fare troppa fatica. Siamo diventati dei veri signori!"
Anche Zep in verità s'era fatta un po' più
rotonda, cicciottella, sebbene non le mancasse ogni giorno
il modo di curare la propria linea con tutto il daffare
che aveva.
Sempre più spesso rivolgevano un pensiero di gratitudine
a quel loro caro amico.
Ma ecco che una mattina che Zip si trovava quieto quieto
sugli scalini della soffitta a rosicchiare i fogli di un
vecchio quaderno, sente aprirsi improvvisamente la porta,
e vede davanti a sé il grosso padrone.
Che spavento!
Il padrone non saliva in soffitta da molto tempo, e le poche
volte che era accaduto, Zip sempre lo aveva udito, e fatto
in tempo a dare l'allarme a tutta la famiglia.
In quelle occasioni si nascondevano nella vecchia culla.
Questa volta, però, chissà perché,
non lo aveva sentito arrivare.
Intanto il padrone saliva, e lui era proprio in mezzo allo
scalino!
Non c'era tempo da perdere.
Allora di corsa si precipita giù verso la porta spalancata.
Un gran balzo e scavalca il padrone.
Il quale però lo vede. Si volta.
Zip si rimpiatta dietro alcuni oggetti che si trovavano
ammucchiati nell'angolo del minuscolo pianerottolo. Pensa
che forse il padrone non darà importanza a lui. Se
non lo vede più, subito dimenticherà, e lo
lascerà andare.
Ma non è così.
Dopo un primo momento di incertezza, il padrone torna indietro,
scende i pochi scalini che aveva prima salito.
Si ferma davanti a quegli oggetti polverosi.
Che deve fare Zip? Scappare? O stare lì nascosto,
sperando che non lo veda?
È la gran paura a farlo decidere. Se ne resta immobile!
Ma il padrone invece non sta fermo. Ecco che chiude la porta.
Ha preso in mano qualcosa. Un grosso bastone.
Zip trema. Sente ingigantirsi il pericolo.
Il cuore sbatte. Il cervello non funziona più.
Il padrone si avvicina, smuove gli oggetti.
Zip non può stare lì fermo, deve assolutamente
fare qualcosa!
Ecco che allora, spinto dalla paura, fa un gran balzo, più
alto della spalla del padrone; ripiomba a terra. Il padrone
si volta verso di lui. Zip è ora tra lui e la porta
chiusa. Cerca uno spiraglio. Non c'è. Di nuovo spicca
un gran salto, piomba sul primo scalino. Il padrone gli
è addosso, batte il colpo su di lui col bastone.
Sente il dolore Zip, ma ancora ha la forza di scappare.
Torna verso quella porta chiusa, e ancora il padrone mena
il colpo. Zip si ferma, è stordito. Il padrone è
lì e sta per ucciderlo. Raduna le forze, pensa alla
sua sposa e ai suoi figli che forse non sanno del pericolo
o che forse lo stanno guardando e tremano per lui.
Deve farcela per loro!
Di nuovo spicca il salto, e questa volta finalmente arriva
al sesto scalino, lontano dal nemico! Corre allora, corre,
sale più in fretta che può. Si nasconde nel
punto più buio della stanza più buia.
Il padrone è salito anche lui, ancora ha in mano
il bastone. Lo cerca. Spia ogni stanza, ogni angolo.
Ma Zip sente che forse ora è salvo.
Come può trovarlo il padrone in mezzo a tutti quegli
oggetti?
E infatti, dopo i primi momenti di ostinata caccia, il padrone
si arrende.
Va e prende la roba per la quale era venuto, e con quella
se ne ridiscende le scale.
Zip non crede ai suoi occhi. È salvo!
Subito gli si fanno intorno i suoi.
Hanno visto tutto! Hanno seguito con trepidazione la brutta
avventura. Zep quasi ne moriva. Solo per amore dei figli
si era trattenuta dal correre in suo aiuto.
Ma che pena!
Lo accompagnarono al letto. Lo aiutarono a distendersi.
Zep gli sedette accanto ed ebbe per lui parole di tenerezza.
Il giorno seguente, Zip ha preso la sua decisione e la confida
a Zep e ai figli.
"Torniamo nella vecchia casa!"
"Oh, nooo..." esclamano i figli. Ma è Zep
a rispondere con fermezza che è quella la decisione
più saggia.
Non le importava della enorme fatica che aveva speso per
riordinare la soffitta.
Oh, sapeva bene rinunciare a tutti quegli agi, se ciò
serviva a difendere meglio la loro vita!
E così all'imbrunire, prima che il padrone tornasse
a cercarli, Zip si mise di nuovo in testa ai suoi e in fila
indiana, senza portare niente con sé di quella casa,
uscirono nel campo.
Solo i tre topini si voltarono a guardare, lassù
in cima, le finestrelle della soffitta nella quale si erano
sentiti tanto felici.